GIUGNO 2022





Sono ancora tante le aziende produttrici di eno-food made in Italy che delegano l’intera promozione dei loro prodotti ad un singolo wholesaler con il risultato di fatto di avere una esigua presenza nella distribuzione



Il parmigiano reggiano è definito come “king of cheese”, il re dei formaggi. È l’emblema per definizione, nonché ambasciatore nel mondo, delle eccellenze casearie italiane e richiede ben 550 litri di latte per ottenere la classica forma a ruota che caratterizza il prodotto e del peso di 38-40 kg.

Le sue origini risalgono al medioevo quando i monaci benedettini e cistercensi ne furono i primi produttori, poi nel rinascimento il primo grande sviluppo nelle pianure delle attuali province di Parma e Reggio Emilia e nel 1996 il riconoscimento europeo della Dop, la denominazione di origine protetta, per la tutela del prodotto e della territorialità, visto che il Parmigiano è tra i formaggi più imitati al mondo e oggetto di quello che viene definito come “italian sounding” per l’evocazione in forme differenti del suo nome.


In inglese Parmigiano si traduce Parmesan e qui negli Usa il Parmesan è un formaggio principalmente prodotto nello stato del Wisconsin dove nei primi anni del ‘900 molti casari emiliani sono emigrati e facendo tesoro della propria competenza hanno iniziato a produrre in America il formaggio così come avevano imparato a farlo nei loro paesi di origine, mantenendo i processi produttivi originari e producendo un forma di Parmesan che è promosso come “Proudly Wisconsin”, orgogliosamente del Wisconsin.


In pratica il Parmesan americano è come il Parmigiano italiano con la sola differenza che invece di essere prodotto da aziende casearie nelle province di Parma e di Reggio Emilia viene prodotto oltre oceano in Wisconsin da aziende casearie americane che sono state attivate un secolo fa da emigrati italiani: cambia la geografia ma il risultato è lo stesso, con un nome Parmesan in lingua inglese senza alcun Italian sounding perché il termine Parmesan è legato al territorio di produzione Usa.


Il Parmesan è stato anche premiato come miglior formaggio americano dalla American Cheese Society, l’associazione che promuove l’industria casearia americana.


Qui negli Usa ovviamente è disponibile il Parmigiano Reggiano prodotto in Italia sia nella sua versione originale che in quella prodotta per conto terzi per la grande distribuzione che, pur promuovendolo con il brand del supermercato, ne tutela nel packaging e nella etichetta l’originalità italiana con la sua Dop.


Nello stesso modo con il quale le grandi catene di supermercati in Italia commercializzano il Parmigiano con marchio proprio, così molte grandi catene americane di supermercati – come Publix che è presente in 7 Stati del sud-est degli Stati Uniti, dalla Florida alla Virginia – commercializzano l’autentico Parmigiano italiano ma brandizzato e con proprio packaging sia nella versione “shredded”, sminuzzato, che in porzioni di forma.





Perché questa gustosa premessa con il suo distinguo?


Il motivo è perché molte aziende italiane dell’agroalimentare quando pensano al mercato Usa non considerano il gusto del consumatore americano ma continuano a basarsi solo su 2 elementi – eccellenza di prodotto e tradizione italiana – che, se non complementati da una analisi del target di buyer a cui rivolgere il proprio prodotto e da una mirata strategia di marketing e di comunicazione per promuovere le caratteristiche e la qualità del prodotto, non sono da soli sinonimo di successo.


Da un sondaggio svolto dal New York Times tra i propri lettori, alla domanda sulle preferenze per i migliori piatti al mondo 2 soli sono risultati i piatti considerati come italiani: le fettuccine Alfredo e la pepperoni pizza.


Ora le fettuccine Alfredo sono un eccellente caso di marketing perché qui negli Usa tutti le considerano una prelibatezza italiana mentre in Italia nessuno le conosce e nessun ristoratore le propone


Come mai?


La storia dice che 2 divi di Hollywood del cinema muto, Douglas Fairbanks e Mary Pickford gustarono questo piatto in una trattoria di Roma agli inizi del ‘900 e fecero dono al ristoratore di 2 posate di oro massiccio con la dedica “To Alfredo the King of the noodles” (ad Alfredo, il re delle tagliatelle) e da qui si è sviluppata una story-to-tell, come si dice nel marketing, che ha agito da propulsore per promuovere un piatto (che molti locali italo-americani tuttora hanno in menu) e una salsa Alfredo (disponibile nei supermercati) che tutto è tranne che parte del panorama culinario italiano ma che qui è invece sinonimo di italianità.





E passando alla pizza, quella napoletana.


Dopo anni di massiccia campagna a livello globale ha avuto il riconoscimento da parte dell’Unesco nel 2017 di “patrimonio culturale intangibile” ma la pepperoni pizza non ha nulla che possa ricordare una pizza italiana.


Di fatto “pepperoni” in inglese (con la Doppia p) non è sinonimo di peperoni in italiano (che è un frutto botanico e non una verdura), bensì si tratta di un insaccato, tipo salame, prodotto negli Usa utilizzando carne di maiale, a grana fine, dal colore rosso vivo e dal gusto leggermente piccante e affumicato.


Da sottolineare che di tutte le possibile versioni e condimenti di pizza, la pepperoni pizza incontra il gusto del 52% degli americani che la incoronano come la pizza favorita e la più popolare (e oggi disponibile pure con i “pepperoni” farciti nel cornicione della pizza a riconferma della elevata preferenza per questo tipo di pizza).


Il mercato Usa del formaggio ha generato un valore complessivo di 39 miliardi di dollari nel 2021, di cui 4 miliardi per l’americano Parmesan.


In questo mercato l’italianissimo Parmigiano Reggiano ha una significativa nicchia di valore di oltre 120 milioni di dollari (21% dell’export complessivo e primo mercato target) verso i canali target Ho.Re.Ca. e distribuzione specializzata di alta gamma, per un target di consumatore che apprezza il prodotto e ha la capacità di spesa per un prodotto italiano che costa retail oltre due volte quello prodotto nel Wisconsin.


La diatriba italiana sulla tutela dei prodotti del territorio e sull’Italian sounding risulta di difficile comprensione qui negli Usa perché manca la conoscenza della ricca varietà culinaria del belpaese e manca la comunicazione e promozione del prodotto. Inoltre, in assenza negli Usa di marchi di tutela dei prodotti americani come avviene in Italia (Dop, Igp, Igt, Doc, Docg, ecc.), non si comprende la differenza che queste sigle possono portare al singolo prodotto in termini di qualità e gusto sulla base delle singole regionalità, e questo in un mercato come quello degli Stati Uniti dove ormai la partita si gioca sulla differenza tra organic e non organic.


Quindi pensando al prodotto food italiano la prima percezione è sicuramente di qualità perchè si collega il prodotto alla ambita destinazione Italia (al quarto posto nella lista delle preferenze di viaggio Dopo Messico, Canada e UK) con le sue icone classiche rappresentative dello stile di vita e del sapersi godere la vita, oltre a tutti quegli ambiti che danno valore assoluto all’Italia spaziando dall’arte all’architettura, dalla ricchezza del patrimonio culturale alla buona cucina, legando così il prodotto alla destinazione e non al singolo territorio o regione di produzione.


Il formaggio grana piace al consumatore Usa che però per conoscere ed apprezzare le differenze qualitative tra Parmigiano Reggiano Dop (Parma, Reggio Emilia e Modena), Grana Padano Dop (32 province in 5 regioni) e Trentingrana Dop (Trento) deve essere un appassionato di cucina italiana e/o sapere come informarsi sul prodotto, quindi parliamo di una percentuale di conoscitori ristretta rispetto al target di consumatori del prodotto, con il risultato che di fronte alla varietà di scelta disponibile su uno scaffale del supermercato può risultare più facile scegliere il Parmesan piuttosto che il Parmigiano.


Ottenere le certificazioni di prodotto Fda, formulare le etichette conformi e identificare un distributore sono steps standard del percorso per l’ingresso nel mercato Usa, ma l’elemento vincente per il posizionamento nel mercato e per creare la differenza è il Marketing.





Ancora purtroppo mancante da parte del produttore, le attività di marketing risultano fondamentali per stimolare l’appetibilità e la curiosità sul proprio prodotto sia da parte dei buyers nei vari canali di approvvigionamento che del consumatore finale.


Dal nostro Hub negli USA di Italyus notiamo sempre di più che sono ancora tante le aziende produttrici di eno-food made in Italy che pur con un’eccellenza si accontentano di delegare l’intera promozione dei loro prodotti ad un singolo wholesaler con il risultato di fatto di avere una esigua presenza nella distribuzione, un secondario posizionamento di scaffale e una totale assenza di in-store promotion essenziale per presentare un nuovo prodotto in un mercato che ha una altissima capacità di spesa ma che vuole essere consigliato.


Il Marketing e la Comunicazione fanno la differenza perché presentano l’eccellenza come il nuovo prodotto del desiderio, il must-have in cucina, nella dispensa, nella carta del ristorante.


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